Ovunque nelle vene ti viaggi,
in strisce scolorite gli occhi fissi,
come quando s’incastra il paesaggio,
s’incarta il paesaggio nel ponte ivisibile,
si arrampica ovunque,
lo sai che non dò una parola senza nulla in cambio.
Il ricordo del guardiano nel vuoto,
riempie i buchi con pietre di fango,
la presa robusta risucchia il tempo,
dalle nuvole volanti non ci sono perché,
perché dal fiume diviso in crepe,
lo scorrere secco dell’acqua perché,
perché i movimenti sottili non carpiti,
cancello di ferro tu lo chiudi, perché?
Perché sei seduto in alto a guardare solo un albero tu, perché?
Mi inviti a sdraiare tutto il corpo per terra, non ho voluto sfiorare la tua anima in pegno.
Dentro sorrisi frenati la parola s’arresta, da fili trasparenti, dentro un passo all’indietro,
solo uno devia il tempo in curva.
Domani chissà, perché mi chiami al risveglio, perché,
i sogni saprò mangiare roteando uno ad uno nel palato, lo sai perché.
Contro il senso nel giorno con vento mosso,
una lingua dipinge un colore non visto,
solo il bacio scioglie lo stolto,
dalla punta di ghiaccio, mobile nel segno, passa davanti ai miei pori dilatati.
Domani saprò che la metà degli occhi sa rubare dalla fonte,
in gola sale per gustare l’invisibile del mare.
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